Giorgio Ambrosoli

La ricostruzione della vita e dell’operato dell’Avvocato Ambrosoli si impernia su tre cardini: la sua vicenda umana e
personale, la storia di Michele Sindona e delle sue banche, la storia politica ed economica italiana dalla fine degli anni ’60 ai primi anni ’80.

La ricostruzione della vita e dell’operato dell’Avvocato Ambrosoli (Milano
17/10/1933-11/7/1979) si impernia su tre cardini: la sua vicenda umana e
personale, la storia di Michele Sindona e delle sue banche, la storia politica ed economica italiana dalla fine degli anni ’60 ai primi anni ’80.


È un intreccio denso di avvenimenti complessi, spesso torbidi, anche tragici, che vedono l’Italia dilaniata dal terrorismo rosso e nero, ma anche da trame politiche che portano la Repubblica sull’orlo del colpo di Stato.
E’ un’Italia in cui le autorità di controllo sui meccanismi finanziari non sono adeguatamente strutturate e i margini per la frode trovano ampie coperture in una parte della politica sia italiana che statunitense.


È in questo contesto difficile e opaco che Giorgio Ambrosoli si trova ad
operare. Il giovane avvocato, esperto di diritto fallimentare, ha fatto, a partire dal 1964, un apprendistato importante e dimostrato le sue qualità
professionali nella complessa e difficile liquidazione della Società Finanziaria Italiana. La collaborazione alla SFI dura diversi anni ed è la palestra che gli apre la strada, nel 1974, per diventare, su incarico del governatore della Banca d’Italia Guido Carli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, bancarottiere e criminale.
E’ un compito immane, perchè l’avversario ha un livello di spregiudicatezza, di amoralità, di bisogno di vendetta non comuni e anche una capacità di tessere trame nazionali e internazionali, di corrompere e di ottenere appoggi dai livelli più alti e potenti della società, che fa impallidire la precedente esperienza alla SFI.

Contro Sindona è stato spiccato mandato di cattura; lui però fugge negli Stati Uniti, da dove mantiene assidui contatti con esponenti del mondo politico e finanziario italiani.
Il commissario liquidatore, dal canto suo, si ritrova da solo, in un ambiente
ostile, che frappone ostacoli a ogni sua richiesta. Dopo le prime diffidenze, scopre invece di poter contare sulla collaborazione esperta e leale di un gruppo di finanzieri, guidati dal maresciallo Silvio Novembre.
Nel febbraio del 1975, dopo cinque mesi di duro lavoro, avendo ricevuto
l’incarico nell’ottobre del 1974, Ambrosoli consegna lo stato passivo della
Banca Privata Finanziaria: 531 miliardi di lire.
E’ un debito enorme, se si pensa che il prestito, recentemente concesso dalla Germania Federale all’Italia, è di 600 miliardi ed è garantito da quanto resta delle riserve auree della Banca d’Italia.
La tensione sociale in Italia è a livelli altissimi, il costo del denaro al 15%, con la lira che perde di continuo potere d’acquisto.
E’ in quei giorni che Giorgio Ambrosoli, consapevole di essere in grave
pericolo, scrive un’accorata lettera alla moglie, il suo testamento spirituale, che non le darà mai, ma che la moglie ritroverà per caso, rimanendone angosciata.

In ottobre, ricevuta dalla Fina Bank di Ginevra la comunicazione che le 4.000 azioni della Fasco (capogruppo di un sistema di scatole cinesi di più di 300 aziende) sono depositate nella Banca Privata Finanziaria, Ambrosoli, con una mossa fulminea vola a Ginevra e, in quanto commissario liquidatore, indice un’assemblea straordinaria nel corso della quale prende legittimamente il controllo della banca, diventandone presidente, per acquisire le azioni della Fasco. La Fasco è la capogruppo, il perno di tutta la costellazione, aprire questa scatola vuol dire poter leggere il “sistema di Sindona”.
Dopo il blitz alla Fasco, Sindona comprende di essere in trappola, si infuria.
Fa denuncia alla magistratura, all’Ordine degli avvocati, alla Banca d’Italia, intenta processi, accusa Ambrosoli di avergli rubato le azioni.
Nel 1976 Ambrosoli inizia a tenere un diario, a volte frettoloso a volte più
ampio. Si sente sconfortato e sempre più solo, avverte intorno a sé un senso
di sfacelo e di vuoto. Ma non demorde.
Nonostante le immense difficoltà, l’8 maggio 1978 consegna la seconda
relazione al giudice istruttore: una requisitoria apparentemente asettica, ma che non lascia scampo. Incredibilmente il delicatissimo documento entrerà subito nelle mani di Sindona, nonostante precauzioni e stratagemmi per impedire la fuga di notizie e identificare l’eventuale colpevole.
E questo dà l’idea dell’ambiente e del clima nel quale, in tutti questi anni,
Ambrosoli si è trovato ad operare.
La partita a scacchi mortale tocca ora il punto di massima tensione: il
salvataggio della Banca Privata Italiana, la caduta del mandato di cattura in
Italia e l’estradizione dagli Stati Uniti sono strettamente intrecciati,
costituiscono un unico meccanismo che è necessario disarticolare.
Sindona muove tutte le sue pedine, politiche (Andreotti) e non ( il Banco di
Roma, la comunità italo-americana, patriottica definizione della mafia, la
loggia deviata P2, i servizi segreti, il Vaticano…), per trovare una scappatoia.
Il 10 dicembre 1978 Ambrosoli, che ha deciso di collaborare con la giustizia americana, vola a New York, per testimoniare segretamente e fornire prove necessarie all’istruzione del processo penale per il dissesto della Franklin National Bank.
A fine dicembre cominciano le telefonate con minacce di morte; il 12 gennaio la più sinistra: “Lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto. Lei è un bastardo!!”
A questo punto le telefonate cessano di colpo. Ambrosoli pensa che, di fronte alla sua intransigenza, Sindona abbia deposto le armi.
Invece, l’11 luglio 1979, proprio il giorno successivo alla sua deposizione al tribunale di Milano richiesta dai giudici americani che indagano su crack del Banco Ambrosiano, quando ormai tutte le responsabilità sono state
definitivamente accertate (porteranno nel 1980 alla condanna di Sindona a 25 anni di carcere negli USA), Sindona, nel disperato tentativo di vanificare le dichiarazioni da lui rese e non ancora controfirmate, fa assassinare Ambrosoli da un sicario, inviato espressamente dagli Stati Uniti.
Ai funerali di Ambrosoli non partecipa neppure un rappresentante delle
Istituzioni italiane. E’ presente solo Paolo Baffi, governatore della Banca
d’Italia.
Meno di un mese dopo, vengono confermate le connessioni di Sindona con la mafia, con la quale ha avuto commercio fin dagli anni della giovinezza.
Estradato in Italia e condannato all’ergastolo il 18 marzo 1986 come
mandante dell’uccisione di Giorgio Ambrosoli, muore il 22 marzo, nel carcere di Voghera, dopo aver bevuto un caffè avvelenato al cianuro di potassio.
Verosimilmente un suicidio.
La lucida e competente ricostruzione delle trame truffaldine della Banca
Privata Italiana, fatta da Ambrosoli, ha impedito che una parte consistente
della finanza italiana cadesse in mani mafiose e ha aiutato il disvelamento dei piani eversivi della loggia P2.
Giorgio Ambrosoli, un “eroe borghese”. Dagli scritti di chi lo ricorda, in
particolare Corrado Stajano e il figlio Umberto, emerge un uomo di grande
dirittura morale, riservato, deciso, duro, molto competente, con grande spirito di iniziativa, difficile da controllare e piegare, capace di tollerare la solitudine, la paura, le minacce.
Il suo senso civico lo sprona a recuperare tutti i crediti possibili, evitando che siano le Banche di interesse nazionale legate all’IRI a ripianare le perdite che in definitiva sarerebbero i cittadini a pagare, truffati dalle spericolate iniziative finanziarie di Sindona, e beffati così due volte.

Bibliografia

Umberto Ambrosoli -Qualunque cosa succeda. Giorgio Ambrosoli oggi nelle parole del figlio edito Sironi

Corrado Stajano – Un eroe borghese Il caso dell’avvocato Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia politica, Enaudi 1995

Giorgio Ambrosoli – Il prezzo del coraggio, su raiplay.it.