Entrato in polizia a venticinque anni, rinunciando all’ultimo alla carriera da magistrato[1], Cassarà andò a dirigere giovanissimo la Squadra Mobile di Trapani nel 1975, distinguendosi subito per un dinamismo insolito nel contrasto agli interessi mafiosi della città. Nel 1980 la sua intransigenza lo portò a perquisire il circolo Concordia dove si ritrovava tutta la Trapani “bene” per giocare d’azzardo, cosa che portò l’allora questore Giuseppe Aiello[2] a rimuoverlo dalla guida della Squadra Mobile su pressione dei notabili locali[
Quando dopo l’omicidio del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa arrivò alla Squadra Mobile di Palermo Beppe Montana, che a Catania aveva arrestato alcuni pericolosi boss, l’attività divenne ancora più intensa. Montana, grazie alla sua esperienza, era convinto che i mafiosi latitanti fossero tutti nel proprio territorio di appartenenza, quindi decise di creare una “Squadra Catturandi“, scegliendo personalmente gli uomini che ne avrebbero fatto parte. Tra questi vi fu anche Roberto Antiochia. La Catturandi divenne la sesta sezione della questura di Palermo (la quinta era l’Investigativa), occupando inizialmente un ufficio al pian terreno con le finestre sulla strada, poi al primo piano per via della scarsa sicurezza, dopo aver vinto le resistenze di Montana.
Fisicamente, gli uffici di Cassarà e Montana distavano due stanze l’uno dall’altro e questo contribuì a sviluppare un’intensa collaborazione tra le due sezioni, che nel mentre svilupparono anche solidi rapporti con il Nucleo Operativo dei Carabinieri, la sezione anticrimine guidata da Angiolo Pellegrini e l’ufficio istruzione guidato prima da Rocco Chinnici e poi da Antonino Caponnetto.
Cassarà, che aveva già conosciuto Giovanni Falcone a Trapani, affiancò quest’ultimo nell’indagine Pizza Connection, che avrebbe svelato l’intenso traffico di stupefacenti tra gli USA e la Sicilia, assicurando alla giustizia diversi boss italo-americani e mafiosi siciliani. Insieme ad Angiolo Pellegrini scrisse poi il famoso rapporto “Michele Greco + 161“, che poi fecero dattiloscrivere da un agente, dato che da Roma non arrivavano i computer richiesti per l’immane lavNei giorni immediatamente successivi alla morte di Montana, Cassarà fu lasciato solo. Alla riunione in Questura due giorni dopo la morte di Montana, Cassarà annunciò l’arrivo da Roma di Antiochia e disse che avrebbe potuto contribuire alle indagini sulla morte di Montana, avendo passato diversi giorni a luglio con lui e quindi era a conoscenza delle ipotesi investigative elaborate dal suo amico, ma nonostante questo non gli vennero affidate le indagini sulla sua morte. Ritenendosi oramai “un morto che cammina”, come si era detto con Montana qualche tempo prima, non voleva essere scortato[7]. Cosa che realmente si stava verificando, per via del fatto che molti agenti stavano andando in ferie, tanto Antiochia decise di rimanere a Palermo per scortarlo, nonostante non si trovasse in servizio.
Nonostante le precauzioni di uscire sempre ad orari diversi dalla Questura per il rientro a casa e i cenni dal balcone da parte della moglie che dava il via libera in assenza di uomini sospetti sulla strada, quel 6 agosto 1985 Cosa Nostra fece in modo che l’attentato andasse a buon fine. I killer si erano appostati alle finestre del palazzo di fronte e quando, verso le 15:30, l’Alfetta bianca blindata targata 728966 arrivò al civico 77 di via Croce Rossa, si scatenò l’inferno: furono oltre 200 i colpi di kalashnikov sparati all’indirizzo di Cassarà[8].
L’autista dell’auto, Natale Mondo, si salvò gettandosi sotto l’auto, mentre Giovanni Salvatore Lercara, 25 anni, riuscì a salvarsi solo perché scivolando batté la testa contro il gradino del portone. Roberto Antiochia invece fu invece ucciso e con lui se ne andò anche una mente brillante utile alle indagini sulla morte di Montana.
oro, che durò 44 notti
Il 6 agosto 1985, rientrando dalla questura nella sua abitazione scortato da due agenti, scese dall’auto per raggiungere il portone della sua abitazione quando un gruppo di nove uomini, guidati da Antonino Madonia, Giuseppe Greco detto “Scarpuzzedda” e Giuseppe Giacomo Gambino appostati sulle finestre e sui piani dell’edificio di fronte, sparò sull’Alfetta con fucili mitragliatori d’assalto.
Cassarà, colpito dai killer, morì tra le braccia della moglie Laura. Antonino Cassarà è sepolto nel cimitero di Sant’Orsola a Palermo. Dopo l’assassinio sparisce in questura la sua agenda, dove si presume fossero annotate importanti informazioni.
A Roberto Antiochia verrà data la medaglia d’oro al valor civile:
«Agente della Polizia di Stato, in servizio a Roma,:) mentre era in ferie, spontaneamente partecipava in Palermo alle delicate e difficili indagini sull’omicidio di un funzionario di polizia, con il quale aveva in passato collaborato, consapevole del pericolo cui si esponeva nella lotta contro la feroce organizzazione mafiosa. Nel corso di un servizio di scorta, rimaneva vittima di proditorio agguato ad opera di spietati assassini. Esempio di attaccamento al dovere spinto all’estremo sacrificio della vita.»
Bibliografia
- Jole Garuti, In nome del figlio – Saveria Antiochia, una madre contro la mafia, Milano, Melampo Editore, 2017
- Saverio Lodato, Quarant’anni di mafia, Milano, BUR, 2013
- Angiolo Pellegrini, Francesco Condoluci, Noi, gli uomini di Falcone, Milano, Sperling & Kupfer, 2015
Antonella Mascali, Lotta civile. Contro le mafie e l’illegalità, Chiarelettere 2009.
Film
“Ninni Cassarà, un bravo poliziotto”